CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
by Investigatore privato Roma
Sentenza 15 settembre 2011, n. 18853
Svolgimento del processo
1. La sig.ra G.M. con citazione del 22 giugno 2001 convenne dinanzi al
tribunale di Savona il marito Gh.Pa. chiedendone la condanna al
risarcimento dei danni (biologico ed esistenziale) causatile dalla
violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e, in particolare,
dell'obbligo di fedeltà, avvenuta con modalità per lei particolarmente
frustranti, stante la notorietà della relazione da lui intrattenuta con
altra donna, anch'essa sposata. Il convenuto si costituì chiedendo che
la domanda fosse dichiarata inammissibile, trovando la violazione dei
doveri coniugali tutela unicamente attraverso il procedimento di
separazione personale, e comunque infondata. Istruita la causa anche con
CTU sulle condizioni di salute dell'attrice, il tribunale respinse la
domanda. L'attrice propose appello e il convenuto propose appello
incidentale relativamente alla compensazione delle spese di primo grado.
La Corte d'appello di Genova, con sentenza depositata il 20 maggio
2006, rigettò entrambi gli appelli. Avverso tale sentenza la sig.ra G.
ha proposto ricorso per cassazione, con atto notificato il 29 giugno
2007 alla controparte, formulando due motivi, ai quali il sig. Gh.
resiste con controricorso notificato il 4 settembre 2007. Entrambe le
parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. All'esame dei motivi va premessa la reiezione delle eccezioni
d'inammissibilità del ricorso nel suo insieme prospettate dal
controricorrente risultando, contrariamente a quanto dedotto con esse,
il ricorso autosufficiente, essendo chiaramente indicate nei motivi le
ragioni della decisione impugnata che s'intendono censurare ed i
necessari riferimenti agli atti del processo, mentre del tutto
irrilevanti ai fini della eccepita inammissibilità è la citazione (in
memoria) di sentenze di merito (di alcuni tribunali) conformi alla
decisione impugnata.
2.1. Con il primo motivo si denuncia insufficiente e/o illogica e/o
contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo per il
giudizio. Si deduce al riguardo che la Corte di appello, dopo avere
affermato di condividere la tesi secondo la quale le regole che
disciplinano la materia familiare non costituiscono un sistema chiuso,
che impedisca alla violazione degli obblighi nascenti dal matrimonio di
comportare l'applicabilità delle norme generali in tema di
responsabilità aquiliana, ha poi affermato che nel caso di specie
mancherebbe il presupposto per il diritto al risarcimento.
Tale mancanza emergerebbe dall'avere la ricorrente "in un primo tempo
proposto domanda di separazione con addebito, successivamente
abbandonando la procedura per addivenire alla separazione consensuale".
Secondo la ricorrente detta motivazione sarebbe incongrua, non
comprendendosi in che cosa consista quel "presupposto", nè perchè
mancherebbe la prova di esso.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione di
norme di diritto (artt. 2043 - 2059 - 151 cod. civ.). Si deduce al
riguardo che la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere non
risarcibile il danno ove non vi sia, come nella specie, una pronuncia di
addebito in sede di separazione. Il diritto al risarcimento, infatti,
trova fondamento nel caso di specie nella violazione di un diritto
costituzionalmente protetto e sarebbe indipendente dalla pronuncia di
addebito in sede di separazione personale. Avrebbe pertanto errato la
Corte d'appello nel ritenere che l'abbandono della domanda di addebito
presupporrebbe la volontà, da parte dei coniugi, di non accertare la
causa della crisi coniugale, "così erroneamente trasponendo in un
giudizio risarcitorio le regole e i limiti specificamente, ad altro
fine, dettati dall'art. 151 cod. civ.".
Regole e limiti validi per la pronuncia di separazione con addebito e
comportanti il divieto di mutamento del titolo, ma non la proponibilità
di una domanda di risarcimento, come quella proposta dalla ricorrente.
L'addebito, infatti, comporta conseguenze del tutto peculiari e
limitate, e in certi casi può essere anche privo di conseguenze
pratiche, come lo sarebbe stato nel caso di specie per la ricorrente la
quale, rinunciando al giudizio di separazione, non aveva espresso alcuna
rinuncia al diritto al risarcimento dei danni.
L'azione di risarcimento pertanto, secondo la ricorrente, era comunque
esercitabile, in relazione ad una condotta dell'altro coniuge posta in
essere nella consapevolezza della sua attitudine a recarle pregiudizio,
in quanto contraria ai doveri nascenti dal matrimonio e produttiva di un
danno ingiusto. Ciò troverebbe conferma sia nei principi affermati da
questa Corte nella sentenza n. 9801 del 2005, circa la concorrente
rilevanza di determinati comportamenti sia ai fini della separazione o
della cessazione del vincolo coniugale e delle pertinenti statuizioni di
natura patrimoniale, sia quale fatto generatore di responsabilità
aquiliana; sia nella dottrina la quale ha evidenziato la frequente
sussistenza, nella disciplina codicistica e della legislazione speciale,
di tutele concorrenti con l'azione risarcitoria.
Il motivo si conclude con il seguente quesito: "Posto che la ricorrente
ha proposto domanda giudiziale nei confronti del coniuge al fine di
ottenere il risarcimento dei danni subiti per effetto dei di lui
comportamenti violativi dei doveri nascenti dal matrimonio e lesivi di
diritti assoluti e costituzionalmente protetti (salute, immagine,
riservatezza, relazioni sociali, dignità del coniuge, ecc.) affermi la
Corte il principio che la mancanza di addebito in sede di separazione
per mutuo consenso non è preclusiva di separata azione per il
risarcimento dei danni prodotti dalla violazione dei doveri nascenti dal
matrimonio e riguardanti diritti costituzionalmente protetti". 2.2.
Deve premettersi che la "ratio" della decisione impugnata va ravvisata
nella statuizione in essa contenuta secondo la quale la domanda di
risarcimento proposta in relazione alla violazione di un dovere nascente
dal matrimonio "non può trovare accoglimento" in mancanza della
pronuncia di addebito in sede di giudizio di separazione. In relazione a
tale "ratio" va esaminato con precedenza il secondo motivo.
2.3. In proposito deve muoversi dai principi già affermati da questa
Corte nella sentenza 10 maggio 2005, n. 9801, ai quali la stessa
sentenza impugnata si richiama condividendoli.
Secondo quella sentenza i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio
non sono di carattere esclusivamente morale ma hanno natura giuridica,
come si desume dal riferimento contenuto nell'art. 143 cod. civ., alle
nozioni di dovere, di obbligo e di diritto e dall'espresso
riconoscimento nell'art. 160 cod. civ., della loro inderogabilità,
nonchè dalle conseguenze di ordine giuridico che l'ordinamento fa
derivare dalla loro violazione, cosicchè deve ritenersi che l'interesse
di ciascun coniuge nei confronti dell'altro alla loro osservanza abbia
valenza di diritto soggettivo.
Ne deriva che la violazione di quei doveri non trova necessariamente la
propria sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di
famiglia, quali la sospensione del diritto all'assistenza morale e
materiale nel caso di allontanamento senza giusta causa dalla residenza
familiare ai sensi dell'art. 146 cod. civ., l'addebito della
separazione, con i suoi riflessi in tema di perdita del diritto
all'assegno e dei diritti successori, il divorzio e il relativo assegno,
con gl'istituti connessi. Discende infatti dalla natura giuridica degli
obblighi su detti che il comportamento di un coniuge non soltanto può
costituire causa di separazione o di divorzio, ma può anche, ove ne
sussistano tutti i presupposti secondo le regole generali, integrare gli
estremi di un illecito civile.
In proposito si è rilevato che la separazione e il divorzio
costituiscono strumenti accordati dall'ordinamento per porre rimedio a
situazioni di impossibilità di prosecuzione della convivenza o di
definitiva dissoluzione del vincolo; che l'assegno di separazione e di
divorzio hanno funzione assistenziale e non risarcitoria; che la perdita
del diritto all'assegno di separazione a causa dell'addebito può
trovare applicazione soltanto in via eventuale, in quanto colpisce solo
il coniuge che ne avrebbe diritto e non quello che deve corrisponderlo, (
agenzia investigativa Roma).
La natura, la funzione ed i limiti di ciascuno dei su detti istituti
rendono evidente che essi sono strutturalmente compatibili con la tutela
generale dei diritti, tanto più se costituzionalmente garantiti, non
escludendo la rilevanza che un determinato comportamento può rivestire
ai fini della separazione o della cessazione del vincolo coniugale e
delle conseguenti statuizioni di natura patrimoniale la concorrente
rilevanza dello stesso comportamento quale fatto generatore di
responsabilità aquiliana.
Anche nell'ambito della famiglia i diritti inviolabili della persona
rimangono infatti tali, cosicchè la loro lesione da parte di altro
componente della famiglia può costituire presupposto di responsabilità
civile. Fermo restando che la mera violazione dei doveri matrimoniali, o
anche la pronuncia di addebito della separazione, non possono di per sè
ed automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria, dovendo,
in particolare, quanto ai danni non patrimoniali, riscontrarsi la
concomitante esistenza di tutti i presupposti ai quali l'art. 2059 cod.
civ., riconnette detta responsabilità, secondo i principi da ultimo
affermati nella sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 delle Sezioni Unite,
la quale ha ricondotto sotto la categoria e la disciplina dei danni non
patrimoniali tutti i danni risarcibili non aventi contenuto economico
e, quindi, entrambi i tipi di danno in relazione ai quali è stata
formulata la domanda dell'odierna ricorrente.
2.4. Dovrà pertanto considerarsi al riguardo - in conformità da quanto
statuito in detta sentenza delle Sezioni Unite - che l'art. 2059 cod.
civ., non prevede un'autonoma fattispecie di illecito, distinta da
quella di cui all'art. 2043, ma si limita a disciplinare i limiti e le
condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali di ogni
tipo, sul presupposto della sussistenza di tutti gli elementi
costitutivi dell'illecito richiesti dall'art. 2043 cod. civ.: e cioè la
condotta illecita, l'ingiusta lesione di interessi tutelati
dall'ordinamento, il nesso causale tra la prima e la seconda, la
sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare
dell'interesse leso. L'unica differenza tra il danno non patrimoniale e
quello patrimoniale consiste pertanto nel fatto che quest'ultimo è
risarcibile in tutti i casi in cui ricorrano gli elementi di un fatto
illecito, mentre il primo lo è nei soli casi previsti dalla legge. Cioè,
secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059
cod. civ.: a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile
come reato: in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del
danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse
della persona tutelato dall'ordinamento, ancorchè privo di rilevanza
costituzionale; b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge
espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di
fuori di una ipotesi di reato: in tal caso la vittima avrà diritto al
risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei
soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare
attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento; c) quando,
al di fuori delle due ipotesi precedenti, il fatto illecito abbia
violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali
oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al
risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di
tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono
individuati "ex ante" dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso
per caso dal giudice.
In tale ultima ipotesi il danno non patrimoniale sarà risarcibile ove
ricorrano contestualmente le seguenti condizioni: a) che l'interesse
leso (e non il pregiudizio sofferto) abbia rilevanza costituzionale; b)
che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi
una soglia minima di tollerabilità, come impone il dovere di solidarietà
di cui all'art. 2 Cost.; c) che il danno non sia futile, ma abbia una
consistenza che possa considerarsi giuridicamente rilevante.
2.5. Con specifico riferimento al caso di specie, in cui la condotta
illecita in relazione alla quale è chiesto il risarcimento del danno è
costituita dalla violazione del dovere di fedeltà nascente dal
matrimonio, va specificamente osservato quanto segue.
Nel vigente diritto di famiglia, contrassegnato dal diritto di ciascun
coniuge, a prescindere dalla volontà o da colpe dell'altro, di separarsi
e divorziare, in attuazione di un diritto individuale di libertà
riconducibile all'art. 2 Cost., ciascun coniuge può legittimamente far
cessare il proprio obbligo di fedeltà proponendo domanda di separazione
ovvero, ove ne sussistano i presupposti, direttamente di divorzio. Con
il matrimonio, infatti, secondo la concezione normativamente sancita del
legislatore, i coniugi non si concedono un irrevocabile, reciproco ed
esclusivo "ius in corpus" - da intendersi come comprensivo della
correlativa sfera affettiva - valevole per tutta la vita, al quale possa
corrispondere un "diritto inviolabile" di ognuno nei confronti
dell'altro, potendo far cessare ciascuno i doveri relativi in ogni
momento con un atto unilaterale di volontà espresso nelle forme di
legge.
Nell'ottica di tale assetto normativo, se l'obbligo di fedeltà viene
violato in costanza di convivenza matrimoniale, la sanzione tipica
prevista dall'ordinamento è costituita dall'addebito con le relative
conseguenze giuridiche, ove la relativa violazione si ponga come causa
determinante della separazione fra i coniugi, non essendo detta
violazione idonea e sufficiente di per sè a integrare una responsabilità
risarcitoria del coniuge che l'abbia compiuta, nè tanto meno del terzo,
che al su detto obbligo è del tutto estraneo.
In particolare, quanto alla responsabilità per danni non patrimoniali -
ai quali è limitato il tema del decidere - sulla base dei principi già
sopra esposti, perchè possa sussistere una responsabilità risarcitoria,
accertata la violazione del dovere di fedeltà, al di fuori dell'ipotesi
di reato dovrà accertarsi anche la lesione, in conseguenza di detta
violazione:, di un diritto costituzionalmente protetto. Sarà inoltre
necessaria la prova del nesso di causalità fra detta violazione ed il
danno, che per essere a detto fine rilevante non può consistere nella
sola sofferenza psichica causata dall'infedeltà e dalla percezione
dell'offesa che ne deriva - obbiettivamente insita nella violazione
dell'obbligo di fedeltà - di per sè non risarcibile costituendo
pregiudizio derivante da violazione di legge ordinaria, ma deve
concretizzarsi nella compromissione di un interesse costituzionalmente
protetto.
Evenienza che può verificarsi in casi e contesti del tutto particolari,
ove si dimostri che l'infedeltà, per le sue modalità e in relazione
alla specificità della fattispecie, abbia dato luogo a lesione della
salute del coniuge (lesione che dovrà essere dimostrata anche sotto il
profilo del nesso di causalità). Ovvero ove l'infedeltà per le sue
modalità abbia trasmodato in comportamenti che, oltrepassando i limiti
dell'offesa di per sè insita nella violazione dell'obbligo in questione,
si siano concretizzati in atti specificamente lesivi della dignità
della persona, costituente bene costituzionalmente protetto.
2.6. In relazione ai su detti principi, deve darsi risposta positiva al
quesito posto dalla ricorrente, con il quale si è chiesto a questa
Corte di affermare che la mancanza di addebito della separazione non è
preclusiva di separata azione per il risarcimento dei danni prodotti
dalla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e riguardanti
diritti costituzionalmente protetti.
Deve infatti ritenersi incompatibile con i principi sopra enunciati
l'affermazione della sentenza impugnata (che ne costituisce la "ratio
decidendi") censurata con il motivo, secondo la quale la prova della
colpevole violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, ai fini
dell'esperibilità dell'azione di risarcimento, sarebbe preclusa ove i
coniugi, come nel caso di specie, siano addivenuti a separazione
consensuale, rinunciando il coniuge interessato alla pronuncia di
addebito, dovendosi tale rinuncia interpretare come rinuncia
all'accertamento delle cause della crisi del matrimonio, in quanto
giudizialmente accertabili solo nel giudizio di separazione con
specifica domanda di addebito.
Tale statuizione viene erroneamente collegata alla giurisprudenza di
questa Corte secondo la quale la dichiarazione di addebito della
separazione può essere richiesta e adottata solo nell'ambito del
giudizio di separazione, dovendosi escludere l'esperibilità di domande
di addebito fuori da tale giudizio (ex multis Cass. sez. un. 4 dicembre
2001, n. 15279; 29 marzo 2005, n. 6625).
Quella giurisprudenza pone a fondamento del su detto principio la
statuizione dell'art. 151 cod. civ., comma 2, che attribuisce
espressamente la cognizione della domanda di addebito al giudice della
separazione. Ma ai fini che qui interessano va rilevato che l'art. 151
cod. civ., attribuisce al giudice della separazione la cognizione sulla
violazione dei doveri nascenti dal matrimonio unicamente in relazione
alla pronuncia sull'addebito, che in essi trova la "causa petendi". Cioè
in relazione a quello specifico "petitum", costituito dalle conseguenze
giuridiche che si collegano alla pronuncia di addebito e che sono, per
il coniuge a carico del quale venga presa, l'esclusione del diritto al
mantenimento (con salvezza del solo credito alimentare ove ne ricorrano i
requisiti) e la perdita della qualità di erede riservatario e di erede
legittimo, con salvezza del diritto ad un assegno vitalizio in caso di
godimento degli alimenti al momento dell'apertura della successione
(artt. 156, 548 e 585 cod. civ.). "Petitum" al quale si può non avere
interesse, avendo invece interesse, sussistendone i presupposti, al
diritto al risarcimento.
Non essendo rinvenibile una norma di diritto positivo, nè essendo
rinvenibili ragioni di ordine sistematico che rendano la pronuncia
sull'addebito (inidonea di per sè a dare fondamento all'azione di
risarcimento) pregiudiziale rispetto alla domanda di risarcimento, una
volta affermato - come sopra si è fatto - che la violazione dei doveri
nascenti dal matrimonio non trova necessariamente la propria sanzione
solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma, ove ne
sussistano i presupposti secondo le regole generali, può integrare gli
estremi di un illecito civile, la relativa azione deve ritenersi del
tutto autonoma rispetto alla domanda di separazione e di addebito ed
esperibile a prescindere da dette domande, ben potendo la medesima
"causa petendi" dare luogo a una pluralità di azioni autonome
contrassegnate ciascuna da un diverso "petitum". Ne deriva, inoltre, che
ove nel giudizio di separazione non sia stato domandato l'addebito, o
si sia rinunciato alla pronuncia di addebito, il giudicato si forma,
coprendo il dedotto e il deducibile, unicamente in relazione al
"petitum" azionato e non sussiste pertanto alcuna preclusione
all'esperimento dell'azione di risarcimento per violazione dei doveri
nascenti dal matrimonio, così come nessuna preclusione si forma in caso
di separazione consensuale.
Ciò trova ulteriore conferma sistematica per un verso nella
considerazione che, come sopra si è osservato con specifico riferimento
alla violazione dell'obbligo di fedeltà, diverse sono anche la rilevanza
e le caratteristiche fattuali che tale violazione può avere ai fini
dell'addebitabilità della separazione rispetto a quelle che deve avere
per dare fondamento ad un'azione di risarcimento. Per altro verso, nella
considerazione che sarebbe del tutto al di fuori della logica del
sistema subordinare - risultato al quale condurrebbe la "ratio" della
decisione impugnata - alla dichiarazione di addebito il risarcimento del
danno per violazione di obblighi nascenti dal matrimonio ove tale
violazione costituisca reato e abbia dato luogo a condanna penale.
Il secondo motivo del ricorso va pertanto accolto - dichiarandosi
assorbito il primo - e la sentenza va cassata con rinvio anche per le
spese alla Corte d'appello di Genova in diversa composizione che farà
applicazione del principio secondo il quale: "I doveri che derivano ai
coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non
trova necessariamente sanzione unicamente nelle misure tipiche previste
dal diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, discendendo
dalla natura giuridica degli obblighi su detti che la relativa
violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente
protetti, possa integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo
al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 cod.
civ., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di
separazione sia preclusiva dell'azione di risarcimento relativa a detti
danni".
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il secondo motivo. Dichiara
assorbito il primo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le
spese alla Corte d'appello di Genova in diversa composizione.
Info: Agenzia investigativa Roma