Nella mia ventennale professione di investigatore privato a Roma, mi sono trovato spesso nella condizione di dover rinunciare all'incarico preso, per via del comportamento scorretto del mandante che, nell'ambito di una problematica familiare, si poneva in maniera violenta, assumendo per certi versi le fattezze di un vero stalker.
La vicenda giudiziaria riguarda una donna che
denuncia per stalking il marito, dal quale è separata, dopo essere stata
oggetto di telefonate, pedinamenti, minacce, danneggiamenti, in un
crescendo di comportamenti intimidatori che hanno ingenerato in lei uno
stato persistente di ansia e timore.
Richiesta a carico dell'uomo la misura
cautelare di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla ex
moglie, il GIP, prima, e il Tribunale, in sede di appello, poi,
respingono l'istanza del P.M., in quanto – si legge nella motivazione
del Tribunale – dall'istruttoria è emerso che “ il notevole flusso
telefonico dal marito alla moglie (sicuramente dal contenuto minaccioso)
non era univocamente sintomatico di una condotta assillante tale da
ingenerare il menzionato stato psichico, perchè, come accertato dalla
PG, risultavano anche molte telefonate in uscita dalla moglie al marito” Il
Tribunale, pur ritenendo la donna attendibile, ha però collegato i
ripetuti tentativi di contattare la moglie anche con espressioni
minacciose e ingiuriose in un contesto conflittuale tra
ex coniugi e ha ritenuto quindi sussistere a carico del marito i reati
di ingiuria, minaccia e molestia, per i quali non è ammessa la misura
cautelare.
Proposto ricorso per Cassazione, la
Suprema Corte, nell'accogliere il ricorso del P.M., nel delineare il
reato di “stalking”, precisa che trattasi di un “reato che prevede
eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad
integrarlo; pertanto, ai fini della sua configurazione non è essenziale
il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo
sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità”.
La circostanza – prosegue la Corte - che
vi siano state delle chiamate telefoniche da parte della donna all'ex
marito, riconducibili ad un contesto familiare conflittuale originato
dalla crisi della coppia, come nel caso di specie, non esclude affatto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza
del reato in questione, ma anzi assume una rilevanza particolare, visto
che l'art. 612 bis, al comma 2, prevede addirittura come aggravante l'esistenza di rapporti di coniugio o di pregressi rapporti affettivi tra le parti.
Da qui discende l'annullamento del
provvedimento impugnato con rinvio ad altro giudice, che dovrà
valutare in merito alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e,
in caso positivo, sull'esistenza delle esigenze cautelari.
Info: Investigazioni a Roma
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