Svolgendo da più di vent'anni la professione di investigatore privato ho vissuto in molteplici occasioni situazioni di pericolo dove ho temuto per la mia personale incolumità.
In queste situazioni mi sono sempre appellato al mio istinto e al buon senso, riuscendo ad allontanarmi dal pericolo evitando il peggio - devo ammettere però che con me ho sempre portato uno spry anti aggressione e che custodivo nel cassetto dello sportello della mia utilitaria; un piccolo congegno che in caso di necessità poteva darmi la possibilità di difendermi o quanto meno, guadagnare la fuga.
Ora la Cassazione mette fine alla libera detenzione dello spray urticante e quindi dovrò rivedere il mio piano di difesa personale perché non vorrei mai essere denunciato per porto abusivo di armai.
Anche la bomboletta spray a contenuto urticante è da annoverare tra le armi comuni da sparo. E' quanto emerge dalla sentenza 5 febbraio 2014, n. 5719 della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione.
Il caso vedeva un uomo essere condannato per il reato di porto e detenzione illegale di alcune bombolette spray marca "American Style Nato Super Paralisant" contenenti una soluzione irritante-lacrimogena, in genere in dotazione alle forze di polizia per il controllo dell'ordine pubblico, a base di orto-clorobenziliden-malonitrile e ricorrere per Cassazione lamentando vizio di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del reato (da definirsi ex art. 4 della L n. 110 del 1975), posto che la destinazione naturale del prodotto è costituita dalla difesa personale e stante la ridottissima potenzialità offensiva dell'oggetto.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che "integra il reato previsto dall'art. 4 L. 2 ottobre 1967, n. 895 e succ. mod., il porto in luogo pubblico di una bomboletta spray contenente gas urticante idoneo a provocare irritazione degli occhi, sia pure reversibile in un breve tempo, in quanto idonea ad arrecare offesa alla persona e come tale rientrante nella definizione di arma comune da sparo da cui all'art. 2, L. n. 110 del 1975" (Cass. pen., Sez. I, sent. n. 11753 del 28 febbraio 2012, rv. 252261). Già in tal senso anche Cass. pen., Sez. I, sent. n. 6106 del 13 gennaio 2009, rv. 243349, secondo la quale: "La bomboletta spray contenente sostanza urticante è compresa tra gli aggressivi chimici il cui porto illegale costituisce reato ai sensi della legge 2 ottobre 1967 n. 895".
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lunedì 31 marzo 2014
martedì 4 marzo 2014
Il clima conflittuale tra coniugi non esclude il reato di stalking
Nella mia ventennale professione di investigatore privato a Roma, mi sono trovato spesso nella condizione di dover rinunciare all'incarico preso, per via del comportamento scorretto del mandante che, nell'ambito di una problematica familiare, si poneva in maniera violenta, assumendo per certi versi le fattezze di un vero stalker.
La vicenda giudiziaria riguarda una donna che
denuncia per stalking il marito, dal quale è separata, dopo essere stata
oggetto di telefonate, pedinamenti, minacce, danneggiamenti, in un
crescendo di comportamenti intimidatori che hanno ingenerato in lei uno
stato persistente di ansia e timore.
Richiesta a carico dell'uomo la misura
cautelare di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla ex
moglie, il GIP, prima, e il Tribunale, in sede di appello, poi,
respingono l'istanza del P.M., in quanto – si legge nella motivazione
del Tribunale – dall'istruttoria è emerso che “ il notevole flusso
telefonico dal marito alla moglie (sicuramente dal contenuto minaccioso)
non era univocamente sintomatico di una condotta assillante tale da
ingenerare il menzionato stato psichico, perchè, come accertato dalla
PG, risultavano anche molte telefonate in uscita dalla moglie al marito” Il
Tribunale, pur ritenendo la donna attendibile, ha però collegato i
ripetuti tentativi di contattare la moglie anche con espressioni
minacciose e ingiuriose in un contesto conflittuale tra
ex coniugi e ha ritenuto quindi sussistere a carico del marito i reati
di ingiuria, minaccia e molestia, per i quali non è ammessa la misura
cautelare.
Proposto ricorso per Cassazione, la
Suprema Corte, nell'accogliere il ricorso del P.M., nel delineare il
reato di “stalking”, precisa che trattasi di un “reato che prevede
eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad
integrarlo; pertanto, ai fini della sua configurazione non è essenziale
il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo
sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità”.
La circostanza – prosegue la Corte - che
vi siano state delle chiamate telefoniche da parte della donna all'ex
marito, riconducibili ad un contesto familiare conflittuale originato
dalla crisi della coppia, come nel caso di specie, non esclude affatto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza
del reato in questione, ma anzi assume una rilevanza particolare, visto
che l'art. 612 bis, al comma 2, prevede addirittura come aggravante l'esistenza di rapporti di coniugio o di pregressi rapporti affettivi tra le parti.
Da qui discende l'annullamento del
provvedimento impugnato con rinvio ad altro giudice, che dovrà
valutare in merito alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e,
in caso positivo, sull'esistenza delle esigenze cautelari.
Info: Investigazioni a Roma
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